“Prosecco-Prosek, caso chiuso: vittoria per le bollicine venete, entra in vigore la norma europea.”
“Non si potrà più usare il nome “ingannevole” sulle etichette croate o di qualsiasi altro Stato membro, generando confusione tra i consumatori”.
“La Croazia non potrà più utilizzare la menzione “Prosek” in etichetta”.
Dopo qualche mese dalla “chiusura” della vicenda, mi permetto di fare alcune considerazioni posto che finalmente (e non è stato facile) sono entrato in possesso di una bottiglia di Prosek
Partiamo dalle dichiarazioni di Zaia, Presidente della Regione Veneto che si è assunto il ruolo di comandante di questa crociata contro il Prosek ! (ndr: le evidenze sono dello scrivente).
Si chiude definitivamente, e nel modo migliore, la querelle Prosecco-Prosek, con una vittoria per le bollicine venete: “Questo nome è nostro e nessuno potrà mai utilizzarlo in Europa come “menzione tradizionale” per indicare un vino che vuole solamente evocare le nostre bollicine, ma non ha nulla di Veneto. Il nuovo Regolamento europeo sulle indicazioni geografiche Ig mette, quindi, la parola fine ad una sgradevole vicenda e questo risultato è frutto di una grande lavoro di squadra tra istituzioni, associazioni di categoria e consorzi che in tutte le sedi hanno difeso non solo un brand, ma un vino che esprime la storia e l’identità del Veneto”: così il Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, annunciando la pubblicazione del testo del Regolamento dell’Ue nella Gazzetta Ufficiale Europea, che limita definitivamente l’uso ingannevole del nome Prosek sulle etichette croate o di qualsiasi altro Stato membro, generando confusione tra i consumatori.
“Ci tengo anche a ricordare che Prosek è un nome che ci appartiene – prosegue Zaia – c’è una riserva del nome con un decreto del 2009 che firmai quand’ero Ministro, riconosciuto dall’Europa, e c’è il pronunciamento dell’Unesco che, nel 2019, ha dichiarato Patrimonio dell’Umanità le Colline del Prosecco di Conegliano Valdobbiadene.
Ma c’è pure una motivazione storica: le prime citazioni del nome “Prosecco”, con riferimento al vino, risalgono in atti al XIV secolo, ed esiste una cartina geografica storica in cui la città di Prosecco, situata poco a occidente di Trieste, è denominata Proseck, in ragione dell’assoggettamento, in quel periodo storico, dell’area al dominio asburgico”.
Dopo questo roboante annuncio, mi permetto di fare alcune osservazioni:
- Di certo Trieste non è in Veneto (ma in Friuli Venezia Giulia) ove si trova anche la città di Prosecco;
- Dal 2009, il mondo del Prosecco è costituito da tre diverse denominazioni: Prosecco DOC, Conegliano Valdobbiadene Prosecco DOCG e Asolo Prosecco DOCG. La produzione del Prosecco DOC avviene nei territori ricadenti nelle 4 province del Friuli Venezia Giulia (Gorizia, Pordenone, Trieste e Udine) e in 5 province del Veneto (Belluno, Padova, Treviso, Venezia, Vicenza); (dati della CCIAA di Treviso- Belluno-Dolomiti);
- Una volta poteva essere prodotto solo “in bianco” usando, oltre all’uva Glera, anche i vitigni autoctoni Verdiso, Bianchetta Trevigiana, Perera, Glera lunga e i vitigni internazionali Chardonnay, Pinot Bianco, Pinot Grigio e Pinot Nero, vinificato in bianco.
- Da quando, negli ultimi anni, si sono inventati anche il prosecco rosé, alle uve Glera si possono aggiungere quelle di Pinot Nero (fino al 10 – 15%), vinificato in rosso;
- Può essere prodotto nelle Tipologie: Prosecco Tranquillo, Frizzante, Spumante. ” (fonte: Consorzio tutela Prosecco Doc);
Orbene, vista la dimensione territoriale della Doc, il numero di uve ammesse, le tipologie di prodotto (si potrebbe dire che manca solo il prosecco rosso è poi ci sono tutte !) viene proprio da domandarsi: ma cosa stiamo tutelando ?
Al confronto la più piccola DOCG d’Italia, ovvero il Moscato di Scanzo, è un club di viticoltori dilettanti !
Addirittura il modo prosecco è così vasto che alcuni (c’è sempre qualcuno più puro dei più puri !) hanno deciso di differenziarsi cercando di abbandonare l’evidentemente inflazionato nome prosecco per quello di Conegliano Valdobbiadene, di cui alla DOCG e, a cascata, per quello di Asolo DOCG.
Quindi un marchio tanto da tutelare che chi vuole distinguersi cerca di non usarlo più in denominazione per differenziarsi dai tanti altri produttori (sembra il Palio di Siena !)
Dopo aver quindi introdotto il Prosecco che, viste le premesse, ben difficilmente potrà mai essere annoverato tra i vini pregiati scambiati nelle aste, andiamo a presentare quel “birbante” del Prosek croato che vorrebbe portar via quote di mercato al prosecco grazie ad un “italian sounding”.
Da: Osservatorio Balcani e Caucaso trasneuropa
“Alla fine del Cinquecento, la Repubblica di Venezia vive il suo momento di massimo splendore.
Tra i vini che vanno più di moda c’è anche il Prosecco, un vino liquoroso, che si beve sia in accompagnamento a piatti salati che dolci. Quel vino deve il suo nome ad una località, Prosecco (la traduzione italiana del toponimo sloveno Prosek, che significa «zona disboscata»), che si trova vicino a Trieste e che oggi fa parte del comune. La Serenissima controlla allora la Dalmazia ed il Prosecco viaggia raggiungendo anche quelle terre. Vi è menzionato per la prima volta, in forma scritta, nel 1774, quando l’abate padovano Alberto Fortis lo menziona nel suo celebre «Viaggio in Dalmazia», dopo averlo provato nei dintorni di Almissa (oggi Omiš, a sud di Spalato). Bisogna aspettare ancora qualche decennio perché appaia anche la traduzione croata del nome, ovvero Prošek, menzionato per la prima volta nel 1867.
Fino a qui, il Prosecco di cui parliamo è quasi un liquore, una sorta di vin santo. La moda dell’epoca è d’altra parte questa: i vini devono poter viaggiare per molte settimane per mare e l’alta gradazione permette loro di sopravvivere al viaggio.
Quando avviene allora la trasformazione del Prosecco in spumante ?
“Nel 1821 un viticultore francese fa a Trieste l’esperimento della spumantizzazione del Prosecco”, racconta lo storico Fulvio Colombo, autore di numerosi libri sul tema. “In città c’è una nutrita comunità francese che conosce la tradizione dello Champagne e la moda è cambiata: il mercato chiede altri vini, meno dolci e più effervescenti”. Ad inizio Ottocento, dunque, nasce il Prosecco moderno, che si diffonde in tutto il Triveneto. Cosa succede al Prosecco dalmata, col tempo detto Prošek? «”Rimane un vino dolce, non “evolve”, diciamo, in spumante»”, risponde Colombo, secondo cui “il Prošek è una sorta di fossile enologico“.
Per inciso esso viene prodotto dalle uve appassite delle varietà tradizionali croate bogdanuša, maraština e vugava. Non ha alcun legame nel gusto, nei tipi di uva o nella tecnologia di produzione con il Prosecco.
Credo quindi che il termine più significativo per indicare il Prošek sia proprio quel: “FOSSILE ENOLOGICO”
Posto infatti che non è cosa facile trovare dei fossili, anche il sottoscritto ha dovuto faticare non poco per trovare una bottiglia di Prosek fino a quanto non ne ha ricevuta una in omaggio da una coppia di amici che si reca periodicamente in vacanza in Croazia.
Infatti esso è prodotto in poche migliaia di bottiglie ogni anno e le esportazioni sono pari a zero (mai trovato in alcuna enoteca italiana, neppure a Trieste !).
CONCLUSIONI
A questo punto mi vien da chiedermi:
- valeva la pena fare tutta questa “guerra santa” contro un povero fossile ?
- visto che i croati dovranno cambiare nome al Prošek, non è che conviene, in guisa di una involontaria nemesi, accaparrarsi le ultime bottiglie disponibili che magari un giorno potranno avere un valore collezionistico (tipo il Prosecco Diesel di Canevel !!)
Certo a patto che domani non si mettano a produrre anche il Prosecco passito !